a cura di Valentina Conti
La società “liquida” subentrata alla modernità sembra caratterizzata da una nuova egemonia massmediologica che assiste passiva al tramonto della tradizionale figura dell’intellettuale. L’estinzione del maitre à penser, che dall’epoca dei Lumi fino a tutto il Novecento è stato il protagonista della storia politica europea, anche nella sua capacità di misurarsi con la cultura di massa, segna l’allontanamento tra cultura e politica, dando origine a ciò che qualcuno ha definito “il grande silenzio”. Il dibattito politico è ridotto a una tribuna televisiva, senza regole, né discussione, un confronto costruito su ingiurie e gossip. Il vuoto del pensiero critico è travolto e neutralizzato dal chiacchiericcio della civiltà massmediatica.
Le Marche, che pure hanno visto e vedono la presenza di tante personalità nel mondo della cultura, rischiano di venire accomunate con il resto del Paese da un sentimento di solitudine intellettuale. Non si possono ignorare le trasformazioni, siano esse culturali, politiche, sociali, economiche, che hanno attraversato la nostra regione: cogliere l’aspetto culturale del cambiamento significa anche ricercare il mezzo per ricollocare i “non luoghi” della comunicazione e del consumo.
Il presente volume raccoglie gli interventi di intellettuali che si sono ritrovati a parlare di cultura, in modo collettivo e con una prospettiva di lungo periodo. Per riflettere sull’identità delle Marche, che è anzitutto un desiderio delle Marche, nel tentativo di recuperare ciò che Leopardi definiva il sentimento di noi stessi.
Cento personalità del mondo dell’arte, della letteratura, del teatro, del cinema, della musica, dell’università, chiamati nel loro ruolo di savants a mettersi al servizio della comunità. Cento pensieri per le Marche, cento suggestioni, cento idee. Una rilettura del territorio come luogo dell’anima. Un’analisi sulle implicazioni sociali della trasformazione economica, per cogliere il senso di una comunità. Poiché, come sosteneva Paolo Volponi, “la civiltà marchigiana ha avuto sempre la misura del gruppo che l’ha generata, il senso di una comunità”.