Oggi nessuno chiede più che Ancona sia riconosciuta come «quinta repubblica marinara», ma ancora in molti vedono nell’occupazione militare attuata nel 1532 dal cardinale Accolti «la perdita delle libertà comunali» e la fine della crescita economica medievale. Rovesciando queste visioni mitiche, nel libro si sostiene invece che nel 1532 non solo non finisce, ma per Ancona addirittura inizia “l’età dell’oro”.
L’età moderna è un periodo cruciale per la storia di Ancona. In particolare, il Cinquecento è per la città il secolo della massima espansione economica e commerciale. Divenuta «il porto di Firenze in Adriatico» e il partner privilegiato di Ragusa (oggi Dubrovnik) nell’interscambio tra la Penisola italiana e le regioni balcaniche, Ancona si impone come la principale piazza commerciale del medio Adriatico, con ricadute positive anche per le sue manifatture. La carestia del 1591 mette fine al ciclo espansivo del Cinquecento, ma Ancona si riprende. Soltanto nella seconda metà del Seicento, con le difficoltà di Venezia, impegnata nella lunga guerra di Candia, l’economia adriatica entra in una fase di progressiva stagnazione che segna pesantemente anche Ancona, fino ai primi decenni del Settecento.
Dalla crisi si esce soltanto con l’istituzione del “porto franco” deliberata da Clemente XII nel 1732: da quel momento i traffici riprendono e di nuovo navigazione, commercio e manifattura manifestano benefiche interrelazioni. Tuttavia, le franchigie non portano a una svolta strutturale e a fine Settecento il porto, dominato dalle marinerie nordiche, è ormai uno «scalo passivo». Nell’Ottocento Ancona vive una profonda cesura nella propria storia millenaria: trasformatasi dal punto di vista sia economico che urbanistico, Ancona “volge le spalle al mare” e diviene una città prevalentemente terziaria.