Un partito che nasce sulle radici del sovversivismo nel giro di un paio di anni (dal 1921 al 1923) si trova a perdere la prima generazione di dirigenti (chi cambia città e chi va in esilio) per l’avvento del regime fascista. Eppure qualcosa è stato fatto se nelle elezioni del 1924 viene comunque eletto un deputato. Alcuni giovani prendono in mano il testimone e tra carcere, esilio e confino riescono a mantenere in vita una sorta di organizzazione, la quale nel 1938 vede crescere le adesioni. La Guerra di Spagna è il vero punto di svolta.
Nella Resistenza i comunisti provano ad avere l’egemonia politica senza molto successo. L’unità con gli altri partiti è però un punto fermo della politica dopo la Liberazione, allorché i vari Cappellini, Molinelli, Marcucci e Adele Bei hanno l’incarico di spiegare cosa sia il partito nuovo. Vi sono alcune resistenze, anche per le radici sovversive mai sopite, ma alla fine tutti accettano la novità: da partito delle avanguardie operaie a partito del popolo.