Ogni paesaggio, ogni film, ogni vino esige un osservatore che innanzi tutto abbia voglia di mettersi in condizione di ascolto. Grandi registi popolari, come Jacques Tati, esigono la nostra collaborazione e la disponibilità all’imprevisto, allo stupore e alla scoperta. Da questo punto di vista il cinema, come recentemente diversi neuroscienziati hanno sostenuto, è un laboratorio di empatia, un’opportunità di abbandonare il nostro narcisismo e provare a entrare nella sensibilità degli altri. Naturalmente bisogna aver voglia di farlo, essere curiosi del mondo, un po’ come capita con il vino che regala il meglio di sé a patto di volersi mettere in gioco, andare oltre la moda del momento, non dimenticare mai che la sua magìa è sempre stata quella di legarsi a qualcos’altro nel convivio, nel canto, nella conversazione, nella seduzione. Come per un paesaggio che guardiamo, anche ogni giorno, senza avere la capacità di vederci qualcosa, la visione di un film diventa slow movie se ci invita ad attivare lo sguardo e a collegarci con il mondo anziché uscirne, proprio come può accadere con un vino. Di grandissima complessità o anche di onesta fattura: purché serva anche a parlare d’altro.
Il tempo dei sensi il tempo dello sguardo
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