“Una mattina me ne sto al viale della Vittoria, di fronte al vecchio Dorico. È primavera inoltrata, forse è domenica. Non so come sono capitato lì. Leggo il giornale. A un certo punto – tutto vero – un vecchio signore, ultranovantenne quasi centenario, ma ancora buono di gamba e, a tratti, lucido di testa, mi si accosta e comincia a narrare la sua vita, parla di una donna, figlia di un oste del quartiere Adriatico negli anni ’20 e di tante altre cose, intreccia nella memoria storie e persone diverse e alla fine, chissà perché, mi fa questo racconto. Parla per alcune ore. Non vado a pranzo e ritorno a casa a sera fatta.
Questo racconto – chissà chi glielo ha fatto e chissà come lo ha saputo – l’ho messo per iscritto e gli ho dato – è il minimo che potessi fare – una costruzione logica e una sistemazione storica”.
Sullo sfondo di un’Ancona operaia e in bianco e nero si svolge la vicenda di Franco, nato al Porto al tempo del fascismo e cresciuto alla Palombella nel lungo dopoguerra che arriva fino a noi. Ma è anche la storia, malinconica e sotto traccia, di un amore messo da parte; una dichiarazione d’affetto per la storia, per un mondo operaio e popolare che sembra definitivamente scomparso.