L’autobiografia consiste di due parti, una in prosa e una in versi. Nasce dal desiderio dell’autrice di riunire le poesie, sparse nelle varie raccolte finora pubblicate, che direttamente o indirettamente hanno un riferimento alla città natale e dintorni, partendo dall’assenza e dalla rimozione per ritrovare il filo di ricordi che assomigliano ad apparizioni. All’inizio c’è il Taccuino bellunese, che non a caso dà il nome all’antologia: si tratta di un poemetto, suddiviso in nove sequenze e sgorgato quasi sulla soglia del nuovo millennio, durante un passaggio esistenziale molto difficile. La poesia è ispirata dal ritorno nell’unico luogo dove in quel momento chi scrive può sentirsi a casa, le percezioni sono forti, improvvise, il paesaggio, gli incontri, i dettagli, tutto prende forma di visione. Una rinascita, il dono di una inaspettata energia per riprendere lentamente a vivere e a scrivere. Nell’attesa che i ricordi mutino in preghiera prendono corpo figure salvifiche, tra cui quella dell’angelo, e infine si fa strada una poesia religiosa nel senso etimologico più ampio. La prima stagione che ricordo è l’inverno fa da introduzione, è un grembo, nel quale si cerca di rammemorare la voce infantile, la musicalità del dialetto, il colore speciale e vivido di microcosmi gravidi di invisibili promesse, come semi destinati a sbocciare. I ricordi sono cangianti, non vengono fissati una volta per sempre con nostalgia compiaciuta, l’attenzione è rivolta a ciò che anticipa un futuro che, nel frattempo, è diventato a sua volta passato, si intuisce la lezione di Benjamin. Primissimo dopoguerra, la bambina che di quella guerra è figlia, nata da un padre arrivato dal sud, ufficiale non più ritornato in caserma dopo l’8 settembre, e da una giovane bellunese, sposata nell’antica chiesa di Santo Stefano. Il cortile fra le case a rappresentare un mondo fatto di cose semplici, al confine fra una civiltà contadina legata ai ritmi della natura, ai riti della devozione cattolica, alla presenza di figure magiche e misteriose ancora vive nella fantasia di chi aveva imparato a raccontare storie nei filò, e l’incipiente modernità. La magia della neve, il primo albero di Natale, le avventure della campagna e delle rive del Piave nascoste dai canneti, la prima comunione, l’amore per i libri, amici fedeli nelle lunghe ore di silenzio e solitudine. Finché l’incantesimo si spezza, la famiglia si trasferisce al sud, nella terra del padre, simile a un controcanto dove il candore della neve si tinge di scuro, si attutiscono i colori, i contorni di cose e persone sbiadiscono, tacciono le storie. Ci vorrà tempo per scoprire i “santi”del sud, i profumi, la bellezza, la forza del lascito paterno. Per ricucire i frammenti in un’unica appartenenza, che va oltre i confini di un paese e cerca il suo approdo in un territorio spirituale di carattere mistico.
La prima stagione che ricordo è l’inverno
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