A ventuno anni di distanza dal romanzo d’esordio “Palmiro”, ecco che un secondo ordigno letterario del formidabile Di Ruscio ci raggiunge dopo aver attraversato tutta l’Europa, da Oslo ad Ancona, dove ha sede la sua casa editrice. «La scrittura» ci viene detto a un certo punto di queste nuove pagine, «somiglia al sogn0», così che «a volte siamo presi dal terrore per gli incubi da noi stessi prodotti, come fossimo in due.» Subito dopo Di Ruscio scrive: «Nel mio caso, di sottoscritti ce ne sono tre: il sottoscritto detto inconscio che programma l’incubo, il sottoscritto che osserva l’incubo, e il sottoscritto che si libera di tutto scrivendo.» Il «sogno», o meglio l’allucinazione senza riposo che vibra in quest’opera anche scopertamente, e giustamente, di «fantascienza» – sia pure di quel particolare tipo in cui il romanziere si cimenta con l’ipotesi affascinante dei cosiddetti Mondi Paralleli – non riguarda più l’Italia del “Palmiro”, quando per strada «sfrecciava Coppi l’irraggiungibile macchina umana», ma l’Italia feroce e torpida dell’oggi, una sorta d’incubo in cui «tutto è vero e falso nello stesso tempo» – dalla politica in avaria ai lavavetri dell’Est; dai grandi funerali e rituali di stato in diretta tv alle molteplici, quotidiane persecuzioni qui e ora: i bei razzismi nei confronti dei più deboli, le ragazzette violentate, tutti gli espulsi i più poveri cacciati via, tutti i capri espiatori reali e potenziali e gli sbranati in guerra e tutte le vittime che, per forza di poesia, queste pagine ci rendono però meglio capaci di distinguere, riconoscere. «Riprendono le accuse» dunque, «le scomuniche, le invettive, le diaboliche serrature ricominciano a scattare»: noi ascoltiamo, per il tramite di queste parole, un accenno definitivo al lavorio del nostro – testimone imperterrito, cronachista mai ateo, Verbalizzatore Totale stupendamente all’opera, daccapo, pure nelle presenti pagine; (queste parole, che scritte oltre quarant’anni fa riguardano la poesia, il materialismo poetante di Luigi Di Ruscio, appartengono a Salvatore Quasimodo.)