La parola scritta si presta a generare immagini che svelano ricordi, e nei ricordi figure, luoghi, sensazioni legati alla fanciullezza. In queste pagine l’Autore dischiude lo scrigno della memoria, senza nostalgia o compiacimenti retorici e invece con garbo e ironia. La scrittura diventa una forma di conoscenza, la riscoperta del luogo incantato dell’infanzia, sebbene intorno a lui allora – siamo nei primi anni Quaranta – la guerra con il passaggio del fronte lasci segni indelebili.
In quel luogo incontriamo la madre, con un abito di lino bianco e azzurro, che passeggia sulla sabbia sottile di Senigallia; la villa di Montecarotto, con la vita che scorre al di fuori del cancello che lui, il bambino, non può oltrepassare; il fascino della nocetta del padre insieme al mezzadro Severì, i racconti della cuoca Marietta, senza dimenticare l’amato Full, il setter bianco e nero.
E poi la scoperta della Milano tumultuosa del dopoguerra, con la sua efficienza, la ricostruzione, lo sviluppo del consumo e la visibilità catturante. Due mondi lontani vissuti in contrapposizione ma anche in contemporaneità, sviluppando sintesi impreviste, creative e pacificanti.
Quel luogo dell’infanzia, semplice e autentico, ritrovato anche attraverso la ricerca delle ricette del pranzo della trebbiatura, è il suo “posto delle fragole” o, se vogliamo, delle vigne, visto che l’Autore produce vini noti in Italia e nel mondo per la loro sontuosa eleganza. E proprio come il vino, anche lui sembra assorbire, dalla terra di quelle colline marchigiane, nutrimento e calore.