La società in cui oggi ci troviamo è indiscutibilmente il prodotto della contestazione del Sessantotto, nel bene e nel male, dei suoi slanci migliori e dei suoi dolorosi strascichi. La nostra è una società più libera, nell’immediato, di quella del dopoguerra, dai rapporti sociali a quelli di lavoro. Ma per molti versi le ansie di cambiamento e le speranze nutrite dalle culture alternative degli anni ’60 hanno finito, con la svolta tradizional-radicale del Sessantotto e con i suoi strascichi folli degli anni successivi, con l’essere null’altro che l’espressione di quella democratizzazione dell’autorizzazione allo sfogo che rafforza il sistema che la concede, secondo quello schema delineato da Marcuse che pure del Sessantotto era stato uno dei riferimenti principali.
Non per questo però la contestazione è da condannare in blocco. Certo, è molto probabile che la mancata rivoluzione sia dipesa innanzi tutto dalla coesistenza, nei giovani, di attrazione e repulsione verso ciò che il miracolo economico generava. E forse dal fatto che, parafrasando una frase molto in voga allora – “se non fai parte della soluzione, fai parte del problema” – quei giovani si fossero accorti di non essere parte della soluzione. Ma ecco il loro merito più grande: aver posto il problema.
Lottarono così come si gioca
€15,00
pagine | 122 |
---|---|
isbn | 978-88-95449-20-3 |