La crisi della ragione politica novecentesca fa da sfondo alla parabola di una città e dei suoi ceti dirigenti e intellettuali. Il deperimento dello spazio pubblico a Urbino diventa così una metafora del venir meno della nozione stessa di democrazia moderna, intesa come partecipazione e gestione organizzata e consapevole del conflitto.
Negli anni Sessanta e Settanta un dibattito di grande respiro aveva coinvolto tutta la cittadinanza nell’impresa improbabile di salvare e dare una nuova prospettiva a una città morente: era la stagione del Piano Regolatore Generale, pensato ed elaborato da Livio Sichirollo e Giancarlo De Carlo. Quel coraggioso esempio di pianificazione – quanto di più vicino a una politica di tipo socialista fosse possibile in quegli anni in Italia – ha avuto il merito di dare un’identità a Urbino e di introdurla nella modernità, facendo dell’Università e della cultura il perno di un rinnovamento di tutta la vita cittadina. Il venir meno della volontà politica ha però sminuito progressivamente il senso del Piano. Quando gli interessi particolari hanno avuto la meglio su quelli generali, la città si è svuotata dei suoi abitanti ed è diventata un albergo postmoderno a tema affacciato sulla Riviera, un giardino d’infanzia che accoglie generazioni sempre nuove ma sempre più indifferenti di studenti.
Ecco – di fronte a questa crisi di identità che rischia di fare di Urbino un non-luogo, ma della quale non c’è ancora una percezione adeguata – la necessità di riscoprire le ragioni originarie del Piano e dare vita a nuove politiche pubbliche.
Politica, progetto, piano
€15,00
pagine | 104 |
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isbn | 978-88-95449-68-5 |