«Chi di noi non ha, nascosto in un cassetto, un racconto o una poesia? Piccoli gioielli dell’ingenuità infantile, dei furori adolescenziali, delle frustrazioni della maturità, roventi di passione, ariosi di slanci romantici. Sono i nostri figli sconosciuti, pagine gremite di speranza e di dolori ineffabili, che non abbiamo saputo o voluto rivelare a parole a chi ci era vicino. Rileggerli lascia in bocca il sapore dolce/amaro del ritrovamento di un aspetto sconosciuto, o negletto, di noi stessi. Non sempre ci riconosciamo in quegli scritti, a penna, a matita su fogli di quaderno, o stampati da un file Word ormai perso. Però, ci raccontano com’eravamo, come abbiamo dimenticato di essere, come abbiamo deciso di non voler più essere.
Talvolta, rileggerli ci induce ad aprire una nuova pagina, per digitare sulla tastiera nuove storie, altre poesie […].
Il risultato non sempre ci soddisfa, ma è comunque una consolazione riconoscere che sappiamo ancora guardare, emozionarci, credere. In una parola, amare».