Può la medicina tornare a essere un’arte? E può un medico, che la esercita con scrupolo e coscienza, prendersi cura in ugual modo delle persone e delle parole? Stefano Stronati ci riesce, non trascurando in entrambi i casi il dettaglio, l’eccezione, l’istante in cui una piccola cosa – sguardo, voce, animale, pianta, pennellata, ricordo – tutto quasi miracolosamente si trasfigura, suggerendo un’altra possibilità, una sospensione, l’aria lieve e misteriosa di una scoperta, di un’intuizione.
Il dottore delle farfalle rimane fedele alla sua icona, che ci accompagna nella lettura del secondo libro fin dalla copertina, ma già nell’incipit sceglie anche un altro simbolo, il francio, l’elemento chimico più instabile della tavola periodica, per dire la sua parte mutevole, il suo bisogno di libertà e di evasione. Così, intorno alla lucidità disincantata e sofferta di chi conosce da vicino la fragilità, la malattia, la morte, aleggiano figure di sogno, brevi narrazioni poetiche immerse nella memoria o affidate a prospettive future ricche di promesse sussurrate nel silenzio. Parole da condividere, da inviare ad altri, dolorose e in un certo modo pacificate, prima diario di facebook, insieme a fotografie altrettanto artistiche, e ora riordinate in un’unica narrazione dal titolo emblematico: Solo gocce. Un richiamo al francio, all’evaporazione, alla breve durata, ma la goccia può essere anche caparbia, capace di scavare la pietra, con la costanza e la forza delle nostre passioni.
“La medicina è la mia legittima sposa mentre la letteratura è la mia amante: quando mi stanco dell’una passo la notte con l’altra”, scrive Cechov. Il piacere di sostare nella scrittura si respira nelle pagine del nostro autore e contagia i lettori, perché esse sono il frutto di un lavoro continuo di rifacimento e di ripensamento, come richiede l’artigianato del poiein, nel senso etimologico di “fare” poesia: aggettivi e analogie non scontati, esattezza e originalità delle immagini, uso attento della ripetizione, dell’anafora, delle pause, studiate affinché si crei la giusta partitura per esprimere il proprio canto interiore, quello, proprio quello, che permette ai pensieri di arrivare lievi, con ali di farfalle. E quando finiscono le parole rimane una musica, che non può essere detta, ma solo accennata, capace di suscitare inconsolabili struggimenti, amore per la vita, meraviglia per le sue infinite manifestazioni di bellezza e di dignità, si tratti di un viaggio, della grazia di un incontro, di un sogno di riparazione fuori del tempo. Sta a chi legge “accostare l’orecchio a questa storia, come si fa con una conchiglia”, respirare con lei, e nell’ascolto vivere emozioni, corrispondenze, segreti che si celano in ogni cuore.
Maria Grazia Maiorino